Riflessioni Bibliche

Getta via la maschera e lascia che la grazia ti trasformi

today13 Settembre 2025 1

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Anzi, egli ci accorda una grazia maggiore; perciò la Scrittura dice:
« Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili» .
Sottomettetevi dunque a Dio; ma resistete al *diavolo, ed egli fuggirà da voi.
Avvicinatevi a Dio, ed egli si avvicinerà a voi.
Pulite le vostre mani, o peccatori; e purificate i vostri cuori, o doppi d’animo!
Siate afflitti, fate cordoglio e piangete!
Sia il vostro riso convertito in lutto, e la vostra allegria in tristezza!
Umiliatevi davanti al Signore, ed egli v’innalzerà.
Non sparlate gli uni degli altri, fratelli.
Chi dice male del fratello, o chi giudica il fratello, parla male della legge e giudica la legge.
Ora, se tu giudichi la legge, non sei uno che la mette in pratica, ma un giudice.
Uno soltanto è legislatore e giudice, colui che può salvare e perdere; ma tu chi sei, che giudichi il tuo prossimo?

📖 Giacomo 4:6-12


Riflessione.

“Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili”.
Questa frase ci colpisce come un raggio di luce che illumina il nostro cuore, rivelando ciò che spesso preferiamo nascondere: il nostro orgoglio.
L’orgoglio è un peccato insidioso, perché non si presenta sempre come arroganza evidente.
A volte, si veste di abiti religiosi, si nasconde dietro atteggiamenti apparentemente cristiani, facendoci credere che stiamo agendo per Dio, quando in realtà stiamo cercando solo di proteggere noi stessi.
Oggi vogliamo guardare in faccia questo orgoglio mascherato, riconoscerne le conseguenze e scoprire la via della vera umiltà, quella che ci conduce alla grazia di Dio.
Che cos’è l’orgoglio?
È quella voce dentro di noi che ci sussurra: “Io sono meglio, io ho ragione, io non ho bisogno di nessuno”.
È il desiderio di essere al centro, di controllare, di apparire giusti davanti agli altri e, a volte, anche davanti a Dio.
Ma l’orgoglio non si manifesta solo nel vantarsi o nel guardare gli altri dall’alto in basso.
Spesso si traveste da virtù, specialmente tra noi cristiani.
Pensiamo a quei momenti in cui facciamo qualcosa “per Dio”, ma in fondo lo facciamo per noi stessi.
Magari preghiamo in pubblico con parole eloquenti, non per glorificare Dio, ma per attirare l’ammirazione degli altri.
Oppure offriamo un servizio nella comunità, ma dentro di noi cerchiamo il riconoscimento, un “grazie” che ci faccia sentire importanti.
La nostra carne, come dice la Scrittura, è abile a nascondersi dietro queste maschere.
In
Matteo 6:1, Gesù ci mette in guardia: “Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli”.
Quando agiamo per il nostro tornaconto, anche se avvolto in un mantello di spiritualità, stiamo cedendo all’orgoglio.
Pensiamo alla parabola del fariseo e del pubblicano in Luca 18:9-14.
Il fariseo sale al tempio per pregare, ma la sua preghiera è un elenco delle sue virtù: “Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri…”.
Crede di onorare Dio, ma in realtà sta esaltando sé stesso.
Il pubblicano, invece, non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo e si limita a dire: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore”.
Chi torna a casa giustificato?
Non il fariseo, con il suo orgoglio mascherato da religiosità, ma il pubblicano, che si è arreso alla verità della sua condizione davanti a Dio.
L’orgoglio spirituale è pericoloso perché ci convince che stiamo servendo Dio, quando invece stiamo servendo il nostro ego.L’orgoglio si manifesta anche nella nostra incapacità di chiedere scusa.
Quante volte abbiamo evitato di dire “ho sbagliato” perché temevamo di perdere la faccia?
Quante volte, dentro e fuori la Chiesa, abbiamo lasciato che una discussione, un malinteso o un’offesa creasse un muro tra noi e un fratello, una sorella, un amico?
Questo accade anche nel matrimonio, dove l’orgoglio può diventare un veleno sottile.
Tra marito e moglie, una parola detta con durezza, un errore non riconosciuto o un rancore trattenuto possono scavare un solco profondo.
L’orgoglio ci spinge a voler avere l’ultima parola, a non cedere, a non chiedere scusa per non sembrare deboli.
Ma così facendo, invece di costruire l’unità che Dio desidera per il matrimonio, erigiamo barriere che feriscono l’amore e la comunione.
Efesini 5:25-33 ci ricorda che il matrimonio è un riflesso dell’amore di Cristo per la Chiesa, un amore che si dona, si sacrifica e si umilia.
Quando l’orgoglio prende il sopravvento, quel riflesso si offusca.
L’orgoglio si vede anche nella mancanza di perdono.
Quando qualcuno ci ferisce, il nostro orgoglio ci spinge a nutrire rancore, a giustificare la nostra rabbia, a dire: “Non se lo merita”.
Questo è vero ovunque, nella famiglia, al lavoro, nella Chiesa, e soprattutto nel matrimonio, dove le ferite possono essere più profonde perché toccano il cuore della nostra intimità.
Gesù, però, è chiaro in Matteo 6:14-15: “Se voi perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”.
Non perdonare è come bere veleno sperando che sia l’altro a soffrire.
Il nostro cuore si indurisce, la nostra gioia svanisce, e ci allontaniamo dalla pace che Dio vuole donarci.
Ancora più subdolo è il perdono superficiale, quello che alcuni cristiani praticano per “pulire la coscienza”.
Magari chiediamo scusa o cerchiamo un chiarimento, ma lo facciamo solo per sentirci a posto davanti a Dio o agli altri, senza un vero cambiamento di cuore.
Continuiamo a evitare quella persona, a nutrire risentimento, a parlare di lei con freddezza.
Questo non è perdono, è una maschera. In
Matteo 18:21-35, Gesù racconta la parabola del servo spietato, che riceve un perdono immenso dal re, ma rifiuta di perdonare un piccolo debito al suo compagno.
La conclusione è severa:
“Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello”.
Il perdono sincero richiede di lasciar andare il rancore, di desiderare il bene dell’altro, di ricostruire la relazione, anche quando è doloroso.
Qualsiasi cosa meno di questo è orgoglio mascherato da giustizia.Ma l’orgoglio non si ferma qui.
Porta altre conseguenze che forse non consideriamo.
Ci rende ciechi alle necessità degli altri, perché siamo troppo concentrati su noi stessi.
Ci spinge a competere, a voler essere sempre i migliori, anche nella fede, creando divisioni nella comunità.
Pensiamo ai discepoli in
Marco 9:33-35, che discutono su chi di loro sia il più grande.
Gesù li richiama:
“Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”.
L’orgoglio ci isola, ci fa vivere in una bolla di autosufficienza, dove non c’è spazio per la comunione vera e profonda.
E, peggio ancora, ci allontana da Dio, perché, come dice Giacomo, “Dio resiste ai superbi”.Allora, qual è la soluzione?
La Scrittura ci indica una sola via: arrenderci.
Rinunciare a noi stessi, smettere di portare la maschera dell’orgoglio e scegliere l’umiltà.
Questo significa inginocchiarci davanti a Dio, come il pubblicano, e dire: “Signore, ho bisogno di te”.
Significa chiedere scusa di cuore, anche quando è difficile, e perdonare davvero, non per apparenza, ma per amore.
Significa riconciliarsi, non solo a parole, ma con gesti concreti, ricostruendo ponti spezzati, specialmente nel matrimonio, dove l’umiltà e il perdono sono il cemento che tiene unita la relazione.
Gesù stesso ci mostra la via in
Filippesi 2:5-8: pur essendo Dio, si è umiliato, si è fatto servo, ha rinunciato a sé stesso per amore nostro.
Se il Figlio di Dio ha scelto l’umiltà, quanto più dobbiamo farlo noi?
Arrendersi all’orgoglio non è debolezza, è libertà.
È togliere la maschera e lasciare che Dio trasformi il nostro cuore.
È smettere di agire per il nostro tornaconto e vivere per la gloria di Dio.
Oggi, chiediamoci: dove l’orgoglio sta alzando muri nella mia vita?
Con chi devo riconciliarmi, forse anche con il mio coniuge?
Quale scusa sto evitando di chiedere?
Quale perdono sto trattenendo?
Portiamo tutto questo davanti al Signore, sapendo che Lui dà grazia agli umili.
Preghiamo: Signore, perdona il nostro orgoglio, le maschere che portiamo, i gesti che facciamo per noi stessi e non per te.
Donaci un cuore umile, pronto a chiedere scusa, a perdonare di cuore, a vivere per la tua gloria.
Aiutaci a rinunciare a noi stessi e a seguire l’esempio di Gesù, nostro Salvatore. Amen.


Dio vi benedica.


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Scritto da: Abramo Spina

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